La transumanza, la monticazione, il pascolo itinerante non sono soltanto memorie del passato: sono pratiche vive che hanno ancora molto da insegnarci. Condividerle, raccontarle e sostenerle significa custodire un’eredità collettiva che rischia di essere dimenticata se non tramandata con consapevolezza.
Invitiamo tutti, appassionati, studiosi, allevatori, viaggiatori e cittadini curiosi, a divulgare questi saperi, a condividere questo post, a partecipare attivamente alla narrazione di una ruralità autentica che resiste, cammina, pascola e continua a modellare il nostro paesaggio.
Solo attraverso la condivisione possiamo dare forza a queste tradizioni, affinché la monticazione e la transumanza non restino chiuse nei libri di storia, ma continuino a vivere sui sentieri delle nostre montagne e nei cuori delle comunità.

La monticazione: un’antica alleanza tra uomo, animali e montagna.
L’esperienza virtuosa di Corleto Monforte nel Parco del Cilento
Tra le tante tradizioni che ancora sopravvivono nelle aree interne del nostro Paese, la monticazione rappresenta una delle più affascinanti e significative. Non è semplicemente lo spostamento stagionale delle mandrie verso i pascoli d’altura, ma un vero e proprio rito di connessione profonda con la terra, scandito dai tempi lenti della natura e dalla sapienza millenaria delle comunità rurali.
La monticazione è una componente essenziale della transumanza, recentemente riconosciuta come patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’UNESCO. Si tratta di un sistema di allevamento mobile, nel quale i pastori e gli allevatori accompagnano i propri animali lungo antichi tratturi, seguendo il naturale ciclo vegetativo dei pascoli. Quando le valli iniziano a inaridirsi sotto il sole estivo, le mandrie vengono condotte verso le montagne, dove trovano erba fresca, aria salubre e un ambiente più favorevole al loro benessere.
Questa pratica, tutt’altro che anacronistica, riveste ancora oggi un ruolo strategico per la gestione sostenibile del territorio e la conservazione degli ecosistemi montani. Il pascolamento controllato contribuisce, infatti, al mantenimento dei prati-pascolo, alla prevenzione dell’avanzamento del bosco e alla riduzione del rischio incendi. Nei parchi naturali, in particolare, la presenza degli animali al pascolo è un alleato prezioso nella tutela della biodiversità, favorendo la crescita di specie vegetali autoctone e contribuendo a modellare paesaggi aperti di straordinaria bellezza.
Un esempio virtuoso di questa antica pratica è rappresentato dall’esperienza di Corleto Monforte, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Qui, alcuni allevatori hanno saputo mantenere viva la tradizione della monticazione, conducendo ogni anno le proprie mandrie verso le alture del Monte Cervati e dei pascoli circostanti. Non si tratta solo di un gesto economico o produttivo, ma di una scelta consapevole che intreccia rispetto per la natura, conservazione delle pratiche pastorali e presidio del territorio.
E questo Giuseppe Mordente (in foto) e la sua famiglia lo sanno bene.

La monticazione a Corleto Monforte è oggi anche un’occasione di valorizzazione culturale e turistica. Sempre più spesso, infatti, queste transumanze stagionali si trasformano in eventi partecipati, capaci di attrarre viaggiatori curiosi e amanti della ruralità, desiderosi di riscoprire il ritmo autentico delle montagne, di assaporare formaggi d’alpeggio prodotti con latte di animali al pascolo, di ascoltare le storie dei pastori che, ancora oggi, rappresentano la memoria vivente di questi luoghi.
In un tempo dominato dalla velocità e dalla standardizzazione, la monticazione ci ricorda il valore della lentezza, della relazione tra uomo e ambiente, e della cura per le risorse naturali. Non è una tradizione da museo, ma un modello attuale e necessario di gestione sostenibile, che può contribuire concretamente al futuro dei parchi e delle aree marginali.
Sostenere la monticazione e le pratiche di pascolamento nei parchi significa proteggere un sapere antico che arricchisce l’identità dei nostri territori, ma anche costruire nuove prospettive per l’economia locale, il turismo responsabile e la salvaguardia del paesaggio. L’esperienza di Corleto Monforte ci insegna che, a volte, il futuro passa proprio dai sentieri più antichi.
L’Italia, terra di Transumanza
Le tradizioni legate alla monticazione e alla transumanza sono straordinariamente varie lungo tutto il territorio italiano, a testimonianza della ricchezza culturale e ambientale che caratterizza il nostro Paese. Dalle malghe alpine del Trentino e del Veneto, dove la salita agli alpeggi è accompagnata da feste e riti propiziatori, fino agli antichi tratturi della Puglia e del Molise, veri e propri corridoi erbosi lungo i quali le greggi si spostavano a piedi per centinaia di chilometri, ogni regione ha sviluppato nel tempo usanze, percorsi e modalità differenti di vivere questa pratica. In alcune aree, come in Abruzzo, la transumanza era un’epopea collettiva che coinvolgeva intere comunità, con tempi e calendari rigorosamente tramandati di generazione in generazione. Nelle isole, come la Sardegna, la transumanza si è adattata a paesaggi più aridi e frammentati, mantenendo però intatta la logica del movimento stagionale alla ricerca del miglior pascolo.

Queste esperienze, diverse per forme ma unite da una medesima filosofia di rispetto e conoscenza del territorio, ci raccontano di un’Italia che ha saputo vivere in equilibrio con la natura, sviluppando saperi e pratiche capaci di modellare il paesaggio e garantire la sostenibilità delle attività agricole e pastorali.
La monticazione, in questo senso, è il cosiddetto “fil rouge” che cuce insieme storie di uomini, animali e montagne da Nord a Sud, e rappresenta una delle espressioni più autentiche della nostra identità rurale condivisa.
Allevare Cavalli da tiro
In questo contesto, assume una particolare rilevanza anche l’allevamento allo stato semibrado delle razze equine da tiro, una pratica che in molte aree interne italiane continua a rappresentare un presidio prezioso per la cura e la manutenzione del paesaggio. I cavalli da tiro, per la loro struttura fisica robusta e la loro capacità di adattarsi a pascoli difficili e spesso marginali, svolgono un ruolo insostituibile non solo nella conservazione della biodiversità, ma anche nel compattamento naturale del suolo, contribuendo a mantenere stabili le superfici prative e a limitare fenomeni di erosione.
La loro presenza nelle aree montane e collinari, dove pascolano in mandrie libere per buona parte dell’anno, aiuta a contenere l’avanzata incontrollata del bosco e favorisce la riapertura degli spazi aperti, elementi fondamentali per l’equilibrio ecologico e per la sopravvivenza di molte specie vegetali e animali tipiche degli ambienti di prateria. Inoltre, il pascolamento degli equini da tiro in regime estensivo rappresenta una forma di allevamento a basso impatto ambientale, capace di coniugare sostenibilità economica e tutela del paesaggio rurale tradizionale. In un’epoca in cui l’abbandono delle terre alte e la perdita delle pratiche agricole storiche rischiano di trasformare radicalmente i nostri territori, valorizzare l’allevamento semibrado di queste razze significa investire nella resilienza delle comunità locali e nella bellezza autentica dei paesaggi italiani. Transumanza e paesaggio costituiscono un connubio che resiste allo scorrere del tempo.
Manifesto per la tutela delle tradizioni rurali e pastorali
La transumanza non è soltanto una pratica pastorale: è un patrimonio culturale, ambientale e identitario che ha modellato per secoli i paesaggi rurali italiani. È il segno visibile di una relazione millenaria tra l’uomo, gli animali e la terra, fatta di conoscenza, rispetto e ciclicità. La transumanza ha dato forma ai nostri tratturi, ha plasmato i pascoli di altura, ha custodito i saperi artigianali e gastronomici che ancora oggi rappresentano l’eccellenza delle aree interne.
In un mondo che corre veloce verso la standardizzazione e l’omologazione, la transumanza è resistenza. È l’affermazione di uno stile di vita compatibile con i ritmi della natura. È la scelta consapevole di chi continua a percorrere sentieri antichi non per nostalgia, ma per visione.
Il paesaggio rurale italiano — con i suoi mosaici di pascoli, radure e tratturi erbosi — non sarebbe quello che conosciamo senza il passaggio regolare delle greggi e delle mandrie.
La transumanza non è solo un fatto storico: è un processo attivo di manutenzione del territorio. Gli animali che pascolano contribuiscono a tenere puliti i prati, limitano l’avanzata del bosco, favoriscono la biodiversità, compattano il suolo e riducono il rischio di incendi. Sono loro, silenziosi custodi, a preservare la qualità ecologica di spazi che altrimenti verrebbero abbandonati.
Difendere la transumanza oggi significa difendere l’identità dei territori, sostenere le economie locali, mantenere viva una sapienza che si trasmette attraverso le generazioni di pastori e allevatori. Significa investire nella formazione dei giovani, riconoscere il valore sociale di chi pratica l’allevamento estensivo e costruire filiere di qualità radicate nel paesaggio.

La transumanza è un ponte tra passato e futuro, un modello di sostenibilità applicato molto prima che la parola diventasse di moda. È un invito a ritrovare un equilibrio tra produzione e ambiente, tra uomo e natura.
Per questo motivo, come studiosi, come allevatori, come cittadini consapevoli, sentiamo la responsabilità di promuovere, difendere e raccontare la transumanza come bene comune. Occorre sostenere le pratiche di pascolamento itinerante nei parchi e nelle aree protette, valorizzare le razze autoctone allevate allo stato semibrado, proteggere i percorsi storici e le strutture tradizionali che ne sono parte integrante.
La transumanza è ancora oggi una chiave di lettura autentica per comprendere il paesaggio italiano. Non possiamo permettere che si perda, travolta dall’abbandono o dalla retorica.
Chi sceglie di continuare a praticarla non porta solo avanti un mestiere antico: cammina per tutti noi, custodisce un patrimonio che appartiene al futuro.
Testo e foto di Annalisa Parisi – Centro Studi per la Biodiversità